EAP: dalla parte del lettore

Mi sono accorta che la maggior parte delle discussioni e degli articoli sull’Editoria a pagamento (a favore, sottilmente non contrari, contrari) sono totalmente concentrati sugli autori. Sul loro punto di vista. Sulle possibilità di vantaggio, sugli aspetti legali, sugli svantaggi, sul perché si scelga questa strada, sul bisogno narcisistico di pubblicare a tutti i costi, eccetera.

Mi sconcerta sempre un po’ questa totale attenzione all’autore, alla parte “produttiva”. Da che mondo è mondo, i libri sono pubblicati per i lettori!

Si discute tra le altre cose di un possibile vantaggio nel “farsi conoscere” tramite l’editoria a pagamento. Ad esempio, questo articolo di Luca Mastrantonio uscito ieri sull’inserto culturale La Lettura ne chiacchiera (seppur, come osserva Roberto R. Corsi, in modo confusionario – soprattutto nella distinzione tra self publishing ed editoria a pagamento!). Ancora una volta, ci si rivolge agli scrittori.

Mi soffermo su questo: “farsi conoscere”. Da chi? Dal pubblico? Dai lettori?

E allora forse bisognerebbe spostare su questi l’attenzione. Dove “questi” non sono parenti e amici dello scrittore che pubblica con EAP, obbligati ad acquistare con sorriso forzato e poi releganti le copie in fondo a qualche armadio, ma sono quelli che vedono il libro tutto pronto, rilegato, e con il nome di un editore che gli è probabilmente ignoto. I lettori che non girano con le liste di distinzione tra editori a pagamento, editori free, editori a doppio binario tatuate sul braccio. I lettori che nella maggior parte dei casi non sanno cosa sia l’editoria a pagamento, e quella tal casa editrice (che ha fatto pagare migliaia di euro a un suo autore per stampare il suo testo e forse forse operare un sommario editing) è per loro equiparabile alle tante case editrici minori e più o meno sconosciute di cui altre volte hanno acquistato volumi. Magari pure orgogliosamente, tutti fieri di essere di quel-tipo-di-lettori che non acquistano solo best seller.

Io sono stata una lettrice così, ignara. Per molti versi la sono ancora. Nella mia libreria ho cinque testi derivanti da editoria a pagamento. Arrivati nei miei scaffali per diverse vie, eppure comunque presenti. (Nessuna delle cinque pubblicazioni è apprezzabile).

Insomma, è giusto che i lettori vadano in libreria, o in altri luoghi virtuali e non di commercio di libri, e si trovino tra le mani prodotti (che non sono aggratis, ricordo) il cui percorso è a loro ignoto?

A me pare che questo “farsi conoscere” sia considerabile una possibilità solo sulla pelle dei lettori e che in generale l’editoria a pagamento – che si fa bello del nome di “editore” quando è più che altro uno stampatore – sia una beffa per chi potrebbe acquistarne i volumi.

Uno scrittore che pubblica a pagamento è nel migliore dei casi un ingenuo, nella maggior parte si merita il proprio destino e i soldi gettati al vento; ma un lettore che incappa in un volume a pagamento e si ritrova tra le mani una ciofeca?

Io posso prendermi la briga di controllare (per quel che si riesce) gli editori dei libri che circolano, sapere un po’ che prodotto ho tra le mani, ma la maggior parte della gente non fa questo percorso, come è giusto che sia. Vai in libreria, trovi libri tra gli scaffali, e quando sei lì sei sicuro di avere tra le mani un prodotto che ha subito un dato percorso, che è stato scelto e curato. Non ti piazzi in un angolo a fare ricerche su internet sulla tipologia di editore.

E’ vero, la maggior parte dell’editoria a pagamento non ha distribuzione, e il vero cliente non è il lettore ma lo scrittore, per cui le copie finiscono per la maggior parte nei famosi armadi di amici e parenti, eppure…

Eppure se vai a una fiera dell’editoria, li trovi lì, tra gli altri.

Eppure se capiti a un aperitivo poetico, per dire, magari il volume venduto alla fine è proprio di editoria a pagamento.

Eppure se vai nella Feltrinelli della mia città sono ben esposti (tra le novità e tra i libri messi in evidenza) almeno due pubblicazioni di case editrici a pagamento. L’acquirente medio potrebbe prenderli in mano, lasciarsi incuriosire dalla trama e portarseli a casa, del tutto ignaro.

Non vi è un reale segno distintivo che scriva nero su bianco “ha fatto tutto lo scrittore, dall’investimento alla scelta di pubblicazione, l’editore è lo stampatore” e differenzi questi volumi da quelli, invece, scelti da editori per definizione.

Ciò che più di tutto mi irrita dell’EAP è la mancanza di trasparenza nei confronti del lettore. Lo scrittore sa a che cosa sta andando incontro, ma il lettore?

Suonerà poco romantico e poetico come paragone, ma se vado al banco del pesce, è indicata la provenienza: se è del mediterraneo, se è scongelato o se è fresco.

Mi parrebbe giusto lo stesso discorso di correttenza nei confronti del consumatore librico.

68 pensieri su “EAP: dalla parte del lettore

  1. “Suonerà poco romantico e poetico come paragone, ma se vado al banco del pesce, è indicata la provenienza: se è del mediterraneo, se è scongelato o se è fresco.” Sarà poco romantico ma hai ragione. Era serpeggiata l’idea di mettere un marchio per distinguere i nostri libri da quelli degli editori a pagamento. Il problema era far capire al lettore in pochissimo spazio COSA significa non essere a pagamento. E non è semplice perché implica la conoscenza di come funziona il lavoro dell’editore. Avevamo pensato a un marchio di qualità, ma l’obiezione poteva essere che la qualità può essere discutibile. E poi ci si può marchiare da soli in questo modo? Chi dice che una cosa è di qualità e l’altra non lo è?

    • Ho provato a fare qualche domanda ad amici e famigliari inconsapevoli e no, non sanno cosa sia l’editoria a pagamento. E non importa nemmeno troppo approfondire la questione.
      Purtroppo è vero, il marchio di qualità è un po’ controverso… A mio parere l’editoria a pagamento non meriterebbe il nome di editoria. Ci vorrebbe qualcosa di riconoscimento per l’EAP, non per i non-EAP, e forse attenzione da parte delle librerie a ciò che propongono ai loro clienti. E anche attenzione nelle fiere dei libri-editoria-eccetera…

      Non è romantico, ma alla fine dei conti gli acquirenti dei libri sono quelli di cui un po’ tutti se ne fregano, e c’è da dire che certi libri potrebbero essere nobilitati dal paragone con una manciata di scampi 😛

  2. Ho delle brutte notizie. Conosco una libreria, pure piuttosto rinomata e quotata, che tiene tra i suoi banchi volumi pubblicati da EAP. Me ne sono accorta lo scorso anno girando per lo stand che aveva allestito alla Festa dell’Unità di Roma (e a questo punto i romani frequentatori di feste dell’Unità sanno di che libreria si tratta). Io ho riconosciuto l’EAP perché conosco parecchi nomi di EAP e quando incontro una CE che non ho mai sentito nominare, prima di comprare i suoi libri torno a casa e cerco su internet. Ma il lettore ignaro in effetti potrebbe non avere tutta questa accortezza.

    • Il lettore ignaro non sa nemmeno cosa siano le EAP.
      Due albatros edizioni ben esposti da Feltrinelli. “Magari sono di qualità”, uno può dire. Magari, non so. So solo che ne ho aperto uno a caso, c’era una battuta di dialogo lunga 5 pagine, senza interruzioni. M’è bastato a farmi un’idea 😉

  3. Effettivamente è assurdo che non ci si pensi mai, al lettore. In realtà iniziando a leggere questo post ho sentito come una specie di straniamento al contrario, tipo bolla che scoppia. E’ vero, il lettore. Forse non ci si pensa mai perché si tende a dubitare che il libro arriverà mai nelle mani di qualcuno. L’Albatros è la più grande e famosa d’Italia e per questo è plausibile trovarne delle copie ogni tanto, io le avevo trovate in biblioteca. Le altre, in quanto…
    Ovviamente sono d’accordo con te. Non credo che tutti gli aspiranti scrittori vadano incontro all’eap con la stessa consapevolezza, non tutti sono in grado di trovare informazioni su Internet con tanta facilità… però sì, il lettore dovrebbe sapere che nessuno ha avuto il coraggio di spendere un euro su quel libro tranne quello che l’ha scritto.
    Davvero, perché non ci si pensa mai? °__°

    • Io me ne sono accorta perché l’argomento EAP a me interessa solo come lettrice. E mi sono accorta che chi ne parla è solo scrittore o comunque dell’ambito editoriale.
      Io dall’esatto momento in cui ho scoperto che cosa è l’editoria a pagamento ho pensato che mi sembra una scemata e che ci casca se la merita^^” Francamente se uno vuole buttare via i suoi soldi in qualcosa del genere sono affari suoi, a me fa solo un po’ ridere se si definisce scrittore.
      Però mi fa incacchiare ritrovarmi per mano i libri di editoria a pagamento. Io mi informo, ma negli anni ne ho accumulati alcuni e comunque trovo non sia giusto che uno debba girare corazzato verso la fregatura.
      E’ vero che non hanno molta distribuzione, ma sia nelle fiere dell’editoria, dove se non sei esperto della cosa prendere fregature è facilissimo, sia negli ambiti locali è piuttosto facile incontrarli: molte pubblicazioni EAP di autori locali si trovano in alcune librerie qua. Vuoi perché non riesci a dir di no, vuoi perché l’autore è amico dell’amico del libraio, vuoi perché al libraio dopotutto non gliene frega più di tanto… 😉

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  5. Ma un lettore ignaro e inconsapevole la nota la differenza tra un albatros o un editore non eap (a parte nei casi evidenti, ovviamente, dove ci sono carenze gravi)? E se li farebbe i nostri stessi dilemmi morali? E’ questo che mi piacerebbe capire… perché boh a volte sembra quasi che si “ribella” solo chi è del settore o chi comunque ci bazzica :/

    • Per quello che ho sperimentato, sì. Nota la differenza di qualità. (Esempio di amica di famiglia: “Ho comprato un romanzo al Salone del libro, ma c’ha una punteggiatura che secondo me è messa strana e molti errori. Poi è brutto.” Vai a vedere, è EAP). E soprattutto NON SA cosa sia l’editoria a pagamento o se lo sa non pensa di ritrovarsela tra gli scaffali in libreria…

      E se non la nota e non gli interessa, sono nel caso, secondo me, comunque affari suoi, sue scelte. Così come non gli interessa se un indumento è made in italy e se il pesce è dall’Atlantico 😉

      Forse i dilemmi sono tra chi bazzica nel settore, ma mollare la massa ad arrangiarsi perché inconsapevoli mi pare approfittarsene 🙂 Che è ciò che fanno i librai che vendono testi del genere

  6. Conosco ibridi libreria/enoteca/caffè pieni di libri pubblicati a pagamento. Spesso li ho trovati libri di pessima qualità, brutte copie di celebri stili, situazioni stereotipate, vaneggiamenti e trovate varie. Pessima scrittura che puoi trovare comunque ache tra i best seller, o nei libri di cui gli autori non hanno pagato la pubblicazione. A riprova del fatto che la cura delle case editrici, il percorso d’un libro, non ne garantisce la qualità. Questo perché non esistono criteri oggettivi per valutare la qualità d’un libro (esiste il gusto di chi legge, spesso terrificante) e perché le case editrici sono delle aziende con l’obiettivo di guadagnare, perciò se l’esigenza di un lettore è quella di leggere la storia patetica di un calciatore, in libreria troverai la storia patetica di un calciatore, perché vende. Per questo credo che l’editoria a pagamento sia un male quasi esclusicamente per lo scrittore e non per il lettore. Avendo già il proprio tornaconto le case editrici ti abbandoneranno in un soffio insieme agli scatoloni dei tuoi libri.

    • Dal momento che il cliente dell’editoria a pagamento è lo scrittore, ovviamente è sicuramente un male per lui.
      Che poi ci siano schifezze inenarrabili anche nell’editoria free è evidente, ma vi è una scelta e una cura editoriali. Che poi io possa giudicarle sbagliate, commerciali, eccetera, è diverso. Tant’è che sono affezionata di alcune case editrici tanto quanto evito come la peste altre.
      Ciò che qui ci si chiede è perché il lettore si trovi di fronte due prodotti APPARENTEMENTE identici, da un punto di vista formale, quando il lavoro che vi è dietro è decisamente diverso. Come dici tu, i luoghi pieni di testi di editoria a pagamento sono tanti. I non addetti ai lavori consapevoli di ciò che si ritrovano tra le mani sono molto meno.

      • Appurato che la qualità d’un libro non dipende dalla pubblicazione a pagamento o meno, non capisco quali siano le differenze formali per il lettore. Mi spiego, se il lavoro operato da una casa editrice (editor, uomini) non garantisce la qualità del prodotto, in alcuni casi la ostacola (basta pensare a R. Carver) come un prodotto offerto da una casa editrice non a pagamento può essere migliore per il lettore, e sottolineo per il lettore, rispetto ad una casa editrice a pagamento?

      • “appurato” mica tanto. Proprio il contrario.
        Con le case editrici VERE si ha un prodotto scelto. Certo, si possono ritrovare immani schifezze, ma in genere ciò che reputo immane schifezza è una scelta editoriale commerciale che vende molto. D’altro canto altre case editrici pubblicano costantemente libri bellissimi.
        Con l’editoria a pagamento non c’è alcuna scelta, semplicemente autori che si autoconsiderano tali pagano per pubblicare. L’editing è inesistente, il lavoro intorno al libro è solo dell’autore. La casa editrice non ha alcuna linea e progetto editoriali, è solo una stamperia.
        Che poi in questo mare di robaccia si trovi un esemplare decente può essere. Ma se un libro è di qualità allora perché pubblicare a pagamento?
        (esiste eventualmente la strada del selfpublishing che è tutt’altra faccenda e che, a differenza dell’EAP, è un prodotto riconoscibile per il lettore).

      • “Che poi ci siano schifezze inenarrabili anche nell’editoria free è evidente, ma vi è una scelta e una cura editoriali. Che poi io possa giudicarle sbagliate, commerciali, eccetera, è diverso” Perciò uno dovrebbe apprezzare la scelta editoriale, in quanto scelta, senza considerare il risultato. Mentre dovrebbe deprecare un autore, anche se pubblica un libro a pagamento di qualità, perché ha avuto l’improntitudine di giudicare la sua opera come non bisognosa di appoggio editoriale. “il lavoro intorno al libro è solo dell’autore” mi suona, con tutto il rispetto, inquietante. Il lavoro di editing molto spesso è solo il lavoro di chi deve tenere conto delle vendite e del guadagno. Aborro questa idea dell’autore giovane ingenuo che deve essere necessariamente accopagnato dall’editor, i consigli sono utili, e anche la guida, ma farne un criterio è impossibile. “Ma se un libro è di qualità allora perché pubblicare a pagamento?” Non so, io non pubblicherei mai un libro a pagamento personalmente, mi sembra svantaggioso, ma non moralizzerei nessuno se lo facesse, e nemmeno penserei che è un pessimo autore prima di averne letto il libro.

      • Guarda, se sei qui per convincermi dei vantaggi dell’editoria a pagamento stai sprecando il tuo tempo. E il mio.
        Non è in discussione: sono totalmente contraria all’editoria a pagamento e NON la considero editoria. Ci sono strade alternative? Sì. C’è il selfpublishing, che non è una beffa nei confronti del lettore e uno specchietto per le allodole verso gli autori.

        Non ho detto che apprezzo la scelta editoriale di una casa editrice free a priori, il mio discorso è di tutt’altro genere e ti prego di leggere il post per capire di che sto parlando.

        Le case editrici pubblicano di ogni, dalla commercialata più commercialata a capolavori letterari; ognuna ha una linea di pubblicazione (salvo grandi gruppi editoriali che puntano alla quantità) più o meno riconoscibile. Ogni scelta è precisa, che poi sia guidata da un intento o un altro è evidente nel target cui si rivolge la pubblicazione.
        Se tu vuoi paragonare la qualità di questo tipo di concezione dell’editoria a un mare magnum in cui ognuno pubblica quel che gli pare pagando e qualcuno glielo stampa, sei liberissimo di farlo. Appunto perché tu preferisci pubblicazioni che non hanno subito un lavoro editoriale corposo dovresti essere favorevole alla possibilità di riconoscere l’EAP rispetto al non-EAP. Così potresti accedere in maniera diretta a questi testi alla loro vasta e mai citata con esempi precisi qualità:)

        Io leggo altro.

  7. Perchè i libri di editori NON a pagamento sono tutti belli o validi?
    Direi proprio di no, soprattutto se si tratta degli orrori scritti dai “soliti noti”…che i “soliti editori” pubblicano senza ritegno! E che i “poveri lettori” acquistano a profusione! Eccoteli i poveri lettori!
    Il problema non esiste… Il lettore “che non volesse correre rischi” in libreria può prendere il libro in mano, leggerne la trama, iniziare la lettura perfino di un intero capitolo; può parlarne coi conoscenti; può parlarne coi commessi; può documentarsi online… E se tutto questo non bastasse, e il povero lettore, pur dopo aver collezionato tutta una serie di riscontri positivi ed aver acquistato il libro…una volta a casa lo leggesse e…bleah che schifo!…Beh, questo è il rischio coi libri, col cinema e così via…Che l’opera possa non piacere! E allora? Mica stiamo comprando del pesce o un paio di pantaloni, roba per cui vale il principio del soddisfatto-o-rimborsato… E poi cosa potrebbe soddisfare “tutti”? Non esiste il bello assoluto in fatto di arte! E sinceramente il paragone con il pesce mi sembra alquanto poco ortodosso, perfino per una provocazione.
    Poi: qualcun altro parlava di spendere un euro per pubblicare e distribuire dei libri… Anche qui: un euro? ma perché invece non parli di investire qualche migliaia di euro?!
    Infine, non ho simpatia per gli editori a pagamento. Ma non considero neppure il lettore così infinitamente sprovveduto come paventato in questa pagina…e sicuramente non un poveretto da compatire col compiaciuto senso di superiorità di chi invece si sente una volpe in grado di difendersi da certa monnezza editoriale! E se lo fosse, il lettore, così pollo (ma ne dubito) in fondo peggio per lui… Difatti probabilmente si tratta della stessa gente che compra la monnezza supercommerciale pubblicata dagli editori NON a pagamento.
    Il raccapriccio assoluto qui mostrato verso i libri dell’editoria a pagamento nelle librerie forse è solo l’amara delusione di chi non ha è riuscito a pubblicare con editori convenzionali e non ha voluto (o potuto) permettersi il lusso di farlo con gli editori a pagamento!

    • Non condivido quest’aggressività nei confronti dei lettori. La lettura è per molti un passatempo, che ognuno approccia a modo proprio.
      Per quanto riguarda le frecciate sul mio eventuale “raccapriccio”, sul fatto che sono una scrittrice frustrata e compagnia, ti sbagli di grosso e ANCORA UNA VOLTA operi con il punto di vista dello scrittore: questo blog, questo luogo nel web, è per lettori. Per la sincerità, l’educazione, le discussioni garbate.
      Che poi l’editoria a pagamento sia un lusso che solo in pochi possono permettersi ti do ragione: in pochi possono permettersi di sperperare soldi per perdere la faccia. Ma sono comunque troppi.
      Qui non si fa un discorso sulla qualità del panorama editoriale italiano, ma sul prodotto in quanto tale.
      Che poi “anche lì si pubblichino libri brutti” mi pare un argomento a favore dell’EAP più che sterile e che rispecchia l’atteggiamento frequentemente italiano del “anche lui fa schifo, per cui posso fare schifo pure io”. Un qualunquismo della mancanza di qualità.

  8. Sinceramente: il tuo atteggiamento verso il lettore è forse meno benevolo del mio… Io sto considerando il lettore come un essere in grado di decidere AUTONOMAMENTE cosa comprare e cosa lasciare sugli scaffali (soprattutto se si parla di opere con punteggiature oscene o dialoghi assurdamente concertati, per le quali il vizio formale salta subito all’occhio, e non si deve perdere neanche troppo tempo per decidere che fanno pena)… tu mi dici che il povero lettore va aiutato bandendo l’editoria a pagamento dalle librerie… In pratica io considero i lettori pienamente adulti e senzienti e tu li consideri dei bimbi da allattare fino ai novantanni!…

    • Io invece credo che esistano lettori forti, molto attenti a quello che viene pubblicato e come viene pubblicato, e lettori meno forti, che leggono nei ritagli di tempo.
      Non riesco a far loro una colpa del non riuscir a stare dietro a tutti i movimenti nell’editoria, non ci riesco proprio. Ho parlato con alcuni di loro di questa cosa dell’EAP e sono cascati dalle nuvole, si son sentiti un po’ presi in giro perché loro credono che chi scrive e pubblica un libro sia una persona “seria”.
      Quando ho raccontato di questa cosa la reazione principale è stata del tipo “siamo proprio caduti in basso” con la decisione, da parte di un conoscente, di leggere solo dalle big perché dice che almeno loro sono affiabiili(!) anche se pubblicano tante schifezze…questo perché purtroppo non hanno tempo di stare ad aggiornarsi costantemente.
      Un’altra conoscente invece mi ha detto “Ma scusa non si può far qualcosa ?” .
      Io non considero queste persone ingenue, sono lettori medi e deboli, il rischio è quello di farli allontanare dalla lettura o limitarla ai soliti noti, perché cmq non riusciranno a fare mai quel passo in più di informarsi in maniera accurata.

      • Ed è giusto che quel passo in più scelgano di non farlo, che si pensi a loro quando gli si presenta il prodotto 🙂
        Acquistare un libro è per molti un passatempo, non un compito a casa che prevede ricerche…

  9. Credo che tu abbia effettivamente inquadrato la cosa da un’angolazione… nuova. Ed è un peccato che sia nuova.
    Perché è vero che, come dice Vinceroma, i lettori possono scegliere se leggere un libro oppure no, ma è anche vero che un lettore comune mica sa dell’esistenza degli EAP, o non sa cosa voglia dire essere un EAP, quindi da per scontato che quello sia un libro come tutti gli altri, ma in verità non è così. E non è così per tutta una serie di ragioni!
    Io, poi, quando sono in libreria, al massimo leggo le prime righe di un libro, mica mi metto a leggere interi capitoli. Non mi piace e non riesco manco a concentrarmi. Quindi non è detto che noti subito la scarsa qualità. Così come potrei rimanere affascinato dalla trama accattivante e poi ritrovarmi a leggere una bozza sgangherata. Potrebbe addirittura succedere che si riesca a trovare un capolavoro! Perché no.
    Però rimane il fatto che un lettore medio non sa che un libro di un EAP è indubbiamente diverso da un libro pubblicato da un editore free. Perché molto semplicemente è arrivato un testo, è arrivato un assegno e si è stampato il tutto.
    Con un editore free, mica è detto che si trovino solo capolavori, anzi, ma c’è un determinato lavoro alle spalle. Che può essere fatto più o meno bene, che può essere più o meno drastico, che può anche essere assente. Ma se non altro, qualcuno ha scelto quel titolo e ha deciso di investirci soldi, quindi qualche valenza la deve pur avere.
    Poi manco a me piace Twilight, ma non posso dire che sia totalmente privo di pregi. ritengo che delle doti narrative ci siano. Invece, con un EAP, potrei anche trovarmi di fronte a uno che manco ha finito le elementari.

    • Sembra che io parli arabo, con vinceroma 🙂 Perché se io conoscessi i libri prima di acquistarli, non so perché dovrei acquistarli. In libreria sguardicchi i libri e la maggior parte di chi compra è frettoloso, si lascia attrarre dalla copertina o dal titolo e dalla quarta.
      Per me Twlight è privo di pregi, ma è stato pubblicato perché ha un target di pubblico decisamente esteso 😉

  10. “Ma se non altro, qualcuno ha scelto quel titolo e ha deciso di investirci soldi, quindi qualche valenza la deve pur avere.” L’unico valenza che ha è quella di un investimento, che non è determinato dalla qualità, ma dal ritorno economico, questa è la valenza. Ora o si dimostra che i libri più popolari sono i libri di più grande qualità, come, che ne so, “Tre metri sopra il cielo”, oppure si deve ammettere che di per sé il fatto che un libro sia pubblicato da una casa editrice non ha pagamento non ci da la garanzia di qualità. A questo punto si potrebbe dire più semplicemente che probabilmente un libro pubblicato a pagamento sia generalmente di qualità peggiore, ma dovremmo capire bene che significa peggiore e migliore, dunque si dovrebbe stabilire un criterio oggettivo (un criterio estetico) che determini quale è un libro di qualità e quale non lo è. Auguri.

    • Beh, hai parzialmente ragione. Però quello è secondo me un discorso diverso da quello che voleva scatenare Paginestrappate, credo.
      Io da lettore preferisco spendere i miei soldi investendoli in un progetto che qualcuno ha sostenuto, piuttosto che in un progetto che ha sostenuto solo l’autore stesso. Poi il discorso della qualità editoriale attuale si può anche fare, ma qui il discorso era quanto il lettore venisse informato.

      • Inoltre che l’investimento economico non sia indice di qualità, lo dici tu, perché ovvio che non è così per tutti, ma col tempo ho imparato che di alcuni editori mi posso fidare completamente. Poi posso trovare titoli che mi piacciono di più o di meno, ma che garantiscono sempre un determinato livello.
        Ma qui siamo nel discorso: cosa dovrebbe fare un editore.

      • Esatto, il mio discorso verte unicamente sulla definizione di editore.
        Vado in libreria? Voglio un libro EDITO da qualcuno.

        Altrimenti mi do al selfpublishing, strada che peraltro apprezzo e incoraggio.

    • Scusami, ma io non so che libri leggi tu. Io personalmente non leggo 3 metri sopra il cielo e leggo libri bellissimi pubblicati per far soldi (ma allora perché l’EAP non regala? Tutto è commercio), ovvio, ma senza per questo rinunciare alla qualità.

      Si continua a elogiare l’EAP facendo confronti col peggio del mercato editoriale. Chi si difende puntando in basso mi fa solo pensare male 😉

      • Scusate ma in libreria si vendono libri, non case editrici che non pubblicano a pagamento. Tre metri sopra il cielo era un esempio per esplicitare meglio il discorso. Non ne attribuivo la lettura a nessuno. Però cerchiamo di fare lo sforzo di comprendere le argomentazioni… “Si continua a elogiare l’EAP facendo confronti col peggio del mercato editoriale. Chi si difende puntando in basso mi fa solo pensare male “. MI dispiace perché credevo di discutere per confrontarmi, non so perché deve finire sempre all’italiana: con le fazioni. Io ragionavo sui i principi, non sono un sostenitore dell’EAP, (forse sarà la sigla a suggerirne le vesti da nemico, ma non stiamo parlando dell’ETA) ho più volte detto che non pubblicherei mai un libro a pagamento. Per rispondere ad Andrea “Poi il discorso della qualità editoriale attuale si può anche fare, ma qui il discorso era quanto il lettore venisse informato.” Infatti io sostengo solamente che è piuttosto ininfluente per il lettore sapere se un libro è stato pagato dall’autore oppure no, visto che né averlo pagato indica necessariamente assenza di qualità, né essere stato editato indica necesariamente la presenza di qualità. Quel NECESSARIAMENTE è molto importante perché indica che non vi è un principio a cui aggrapparsi che può determinare esattamente, cosa da indicare con un qualche marchio, che siccome un libro è stato pagato il lettore ne deve stare al riparo. Il resto sono scelte personali.

      • Guarda, io apprezzo che tu abbia cercato di intavolare questo tipo di dibattito e mi dispiace di essere così chiusa in merito, ma la mia idea di editoria non è conciliabile con quella a pagamento, che non riesco a definire editoria.
        Come ho scritto già varie volte qui, se si vuole una strada alternativa vi è il selfpublishing, che apprezzo e incoraggio.

        Il discorso che per difendere l'”editoria” a pagamento si finisce sempre per denigrare quella free non è campato per aria. Guarda caso, i due commentatori che qui hanno portato argomantazioni a favore dell'”editoria” a pagamento non hanno fatto altro che osservare come le librerie siano piene di schifezze edite non a pagamento.
        E’ proprio di certi politici, ad esempio, denigrare l’altrui invece che mostrare le proprie qualità ed è un atteggiamento che mi fa sempre pensare male, perché quando il confronto verte sul peggio e non sul meglio di sicuro non si è di fronte a grandi risultati.

      • Mi dispiace, perché è il sintomo della mancata comprensione di cosa stia dicendo l’altro, considerandolo solo un avversario, è che nessuno ha portato tesi a favore dell’editoria a pagamento. Voglio essere chiaro: non possiedo una casa editrice a pagamento, non ho mai pubblicato con una casa editrice a pagamento e non le difendo, dico solamente che sono un male per lo scrittore e non il lettore, come sostenevo all’inizio. Mi dispiace dover puntualizzare, dopo che queste cose le ho scritte molto chiaramente prima e continuo a ripeterle. Sfoderare poi la politica mi sembra poco corretto, far leva sul sentimento anti-casta per aver ragione su una discussione sull’editoria è davvero poco professionale, e inutile, non aiuta la discussione e non accresce nessuno. Il problema è male interpretare: io per esempio non ho mai denigrato l’editoria tradizionale, dire che sono aziende con scopo di lucro non significa denigrarle, né far presente che esistono delle pubblicazioni pessime significa denigrare tutte le case editrici. Il punto, e su questo, non mi sembra mai di essere mai andato fuori tema, era stabilire se il lettore doveva essere tutelato, se doveva essere informato del fatto che un libro fosse stato pubblicato a pagamento. Io non credo, sarebbe come cercare di tutelare un lettore dal fatto che un libro è stato scritto da Sveva Casati Modignani, che senso ha? Io ho difronte un libro, perché io lettore dovrei avere qualche morale che mi spinga a giudicarlo preventivamente senza dei motivi plausibili (ah, tante volte si dimenticasse non ho una casa editrice di libri a pagamento, queste cose le dico perché le penso veramente) se l’autore è bravo e ha scritto un buon libro perché non dovrei apprezzarlo? Discorso diverso è per l’autore, che sendo me non dovrebbe pubblicare a pagamento, perché come ho scritto nel mio primo commento, quando non avevo ancora una casa editrice a pagamento, una casa editrice che ha già lucrato può benissimo abbandonarti e passare al prossimo fesso.

        • Per me invece si, andrebbe “tutelato”, anche se per essere corretti direi che si dovrebbe essere trasparenti.
          Oggi si la “trasparenza” secondo me dovrebbe essere un obbligo per chiunque produce qualcosa. Ad esempio nel cibo, negli abiti, nei giocattoli…deve esserci scritto da dove viene (quindi automaticamente sappiamo che se il mio vestito è stato fatto in Taiwan molto probabilmente l’avrà fatto una persona pagata una miseria..). Poi sta a me, consumatore decidere se prenderlo o meno, e c’è gente che prende lo stesso il cibo ultra-confezionato anche se sa che fa male…però sa, lo fa in modo consapevole.
          Per quanto riguarda l’eap per me può pure esistere (anche se preferirei non si fregiassero della parola “editore”) però sia detto chiaro, basta. Sia scritto che quell’autore ha pagato l’editore, ha “contribuito”, per farsi pubblicare. Per me sarebbe solo corretto. Il lettore poi può decidere di comprare il libro lo stesso per quanto mi riguarda, però è consapevole: magari per altri pagare per pubblicare con un editore non è così disdicevole.

      • Scusami, ma non so mica più cosa dirti. Ho scritto un post sul fatto che lo consideri un male anche per il lettore perché manca di trasparenza, tu mi dici che non è così, io ti dico che io invece la penso così, tu ora mi dici che devo pensarla in un altro modo comunque…
        Discutere è interessante e produttivo, ma non sempre si cambia idea e si cambia idea se le tesi portate dall’altro sono convincenti. Come ti ho già ripetuto più volte non condivido assolutamente il tuo approccio all’editoria e le tue difese sull’eap sono il contrario che convincenti. Rimango sulla mia idea e convintamente.
        Più di così non so che dirti. Trovo il dibattito sterile e inutile, fatto in questo modo. Mi dispiace se hai preso questa mia opinione sul personale, ma ti consiglio di lasciar perdere e continuare con il tuo approccio personale alla lettura.
        Diverso dal mio, sicuramente.

  11. Proprio l’altro giorno si parlava su twitter di un fenomeno nuovo: le recensioni a pagamento. Un fatto abbastanza sconcertante, se non un vero e proprio imbroglio (una recensione non prevede pagamento, altrimenti divebta un’inserzione e dovresti rendere palese che si tratta di pubblicità). D’altronde, la strssa cosa accade da tempo con gli hotel e i ristoranti su tripadvisor. Il problema con le recensioni e con gli editori a pagamento è in effetti che sono formalmente indistinguibili da quelli non a pagamento. Di certo non si può chiedere a un libraio di non esporre libri di EAP. Non tanto perché per lui 20 euro Mondadori equivalgono a 20 euro di un EAP, quanto perché anche per lui sarebbe quasi impossibile fare un cernita di tutti gli editori che ha in negozio. Anche perché esiste un po’ di tutto: dalla CE che pubblica narrativa gratis e poesia a pagamento a quella che non chiede soldi in anticipo ma per contratto non paga i diritti d’autore (sono 50 euro? Spetterebbero all’autore. Non glieli hai chiesti prima ma li trattieni dopo. Questo non fa di te un EAP? Opinabile). i marchi di qualità, le blacklist etc. lasciano davvero il tempo che trovano. Il vuoto è anche normativo. Si dovrebbe trovare un modo per poter dare la definizione di “editore” solo a quelle aziende che applicano un contratto editoriale, privo di spese e acquisto obbligato di copie e con percentuale di royalties superiore allo 0%. Ma anche in questo caso non gli impediresti di andare a finire il libreria o alle fiere o alle presentazioni, li renderesti solo un pochino più riconoscibili dall’acquirente. Alla fine l’unico modo per demolire questa pratica dannosa per tutti sarebbe che i sedicenti autori, in effetti, la smettessero di regalare soldi a questi individui (e di difenderli nelle discussioni, magari).

    • Soprattutto le ultime due…
      Hai ragionissima, in effetti pretendere la non vendita dei libri di eap è molto controverso; l’unica sarebbe che l’eap morisse di morte propria (impossibile, mi sa)…

      Le recensioni a pagamento… mioddio, giunse anche a me notizia. Mioddio a maggior ragione perché ho letto delle discussioni in cui la levatura dei soggetti recensenti m’è parsa decisamente scarsa… Certo, senza andare troppo agli estremi, se da un lato c’è chi sfacciatamente chiede euro per dedicare qualche riga sicuramente positiva a un libro magari nemmeno letto, dall’altro c’è anche un giro di marchette e lisciamenti di pelo a case editrici, in portali letterari collettivi e blog personali…

  12. Non c’è male. Quindi qui c’è pure un commentatore che si permette di stabilire che chi non sopporta le EAP è probabilmente chi non è stato pubblicato da editori tradizionali e non può permettersi il lusso di pubblicare con un editore a pagamento. Ragionamento che implica l’idea che in fondo scrivere un romanzo non sia un lavoro e che la pubblicazione con un editore non a pagamento non sia il giusto risultato a cui ambire per un lavoro portato avanti ma un lusso. Credo di non avere parole sufficienti per commenti di questo tipo. Salvo che sono i commenti di gente che avvalla con il suo atteggiamento i fenomeni dello sfruttamento nel campo culturale e il deprezzamento progressivo del mestiere di chi opera nel mondo dell’editoria. Complimenti vivissimi.

    • Sì, “dalla parte del lettore” è proprio per indicare che sono una scrittrice rifiutata e frustrata 🙂 E’ palese.

      Gli editori che fanno il loro lavoro chissà che sono, invece, secondo questi commentatori.

    • Noto, come ha del resto sottolineato “leonardomartellini”, in questa commentatrice (e nell’autrice del blog), “il sintomo della mancata comprensione di cosa stia dicendo l’altro”…
      Ma andrei anche oltre: la mancata comprensione qui pare (purtroppo) addirittura voluta. Il vecchio (e secondo me fastidioso) gioco di distorcere le parole altrui per rivoltargliele contro. Le signore/signorine in questione evidentemente hanno fatto propria la lezione del Cardinale Richelieu: “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare”.
      Qui nessuno si è proclamato favorevole all’editoria a pagamento. Nemmeno tra le righe. Abbiamo spiegato (sia io che “leonardomartellini”, e pure in più riprese) che per noi l’editoria a pagamento non è una strada auspicabile, ma che SE UNO VUOLE, deve essere libero di percorrere quella via, e nessuno se non il lettore finale può valutare il valore dell’opera pubblicata e decidere di conseguenza se comprarla o meno…
      Tornando alla mia frase, non “stabilivo” proprio nulla io… Era solo una chiosa provocatoria, al termine di un discorso sulla LIBERTA’ dell’autore di decidere cosa fare delle proprie opere e sulla perfetta capacità senziente degli acquirenti…
      Ma forse di provocazione (ehm) qui si preferisce quella che paragona i libri a del pesce esposto sui banchi del mercato… E che farebbe degli autori e degli editori degli squallidi pescatori e pescivendoli!

      • Sì, sono poco romantica e me ne infischio 🙂

        Ma non capisco cosa Lei faccia ancora qua, da chi scrive articoli paragonando gli scrittori a “squallidi pescatori e pescivendoli” (complimenti per il rispetto per le professioni altrui). Mi viene a trovare a “casa mia”, insiste a parlare di argomenti che non sono in discussione, dopo che Le ho ribadito la mia opinione in merito insiste comunque a tornare qua perché non Le va bene che io la pensi così, e insiste, dandomi della scrittrice frustrata e compagnia bella.

        Davvero mi sfugge la Sua presenza su questo blog, di cui ha più volte sottolineato la pochezza.
        Le assicuro che io sono un nessuno, la mia opinione è mia e non cambia il mondo; la mia impressione è che Lei qui stia perdendo il suo tempo – e il mio, che Le rispondo perché viene in casa mia – e che forse forse sia Lei che l’altro commentatore frustrato dalla mia mancanza di apertura alle Vostre obiezioni avete semplicemente approfittato di una porticina aperta data da questo post per piazzarvi qui e imbastire una sterile discussione.

        Sì, noi preferiamo il pesce alle provocazioni.
        Quindi non continui a perdere il Suo tempo con noi.
        Grazie.

      • Signorina, spero d’ora in poi non si annoi troppo a “casa sua” (ehm…poi: chiamare casa un luogo come un blog? Aperto a tutti, poi… Ma ne faccia un blog privato, allora, in cui invitare solo chi le piace se ha questa necessità!)…nella sua campana di vetro in cui avere sempre ragione…
        La vita è diversa. Là fuori la gente apprezza il dialogo e tendenzialmente non ama distorcere il pensiero altrui solo per alimentare il proprio ego considerandosi infallibili e portatori della verità assoluta. (Lo fa per guadagni materiali, è ovvio, ma non per autocelebrarsi).
        La gente ama il confronto per crescere e migliorarsi. Ma tutto questo accade nel mondo reale… A “casa” sua invece …

      • Però manco Paginestrappate dice che gli autori non devono pubblicare a pagamento. Molto semplicemente, dice che secondo lei sul lirbo dovrebbe essere indicato che si tratta di un EAP, in modo che il lettore possa comportarsi di conseguenza, scegliere cioè se leggere il libro o no con cognizione di causa. Tutto qui.

      • No? Ecco cosa scrive: “Uno scrittore che pubblica a pagamento è nel migliore dei casi un ingenuo, nella maggior parte si merita il proprio destino e i soldi gettati al vento;”

      • Infatti, non nego la possbilità. Che la gente lo faccia, è un ottimo sistema di selezione naturale.
        Chi casca nell’eap può peccare di ingenuità o narcisismo, ma in generale editoria a pagamento e scrittori che ne usufruiscono si meritano a vicenda.
        Le chiedo NUOVAMENTE di intervenire solo quando avrà qualcosa da dire, e che sia interessante, sull’argomento di questo post e confronto, che è semplicemente la possibilità che vi sia una distinzione fisica tra libri editi a pagamento e non.

  13. discussione interessante, e come sempre superato un certo numero di scambi le posizioni si estremizzano
    ritengo che mettere una specie di timbro d’infamia all’eap sia auspicabile e terribile
    voglio dire: siamo sicuri che tutti i manoscritti al di sopra di una certa “qualità” arrivi a essere pubblicata?
    tanto per chiarire: non ho nessun romanzo nel cassetto e non ho mai mandato manoscritti a chicchessia
    diffido naturalmente dell’eap e anche di molti editori “normali”, molte cose sono pubblicate solo per sostenere l’ego dello scrivente (dire scrittore, tante volte, sembra davvero troppo) e la differenza tra certa editoria vera ed eap è solo il presunto possibile riscontro commerciale
    ovviamente scrivere in “bella copia” (faccio un esempio) l’autobiografia di un cassano magari ha dietro molto lavoro di qualità rispetto a un simil cassano sconosciuto che paga per pubblicare, non ne dubito, però…
    insomma… ormai nel pieno del mio solito cerchiobottismo dico che negli ultimi anni vado più in biblioteca che in libreria e sai qual è la differenza?
    le inc… il nervosismo in meno. perché pagare 10-15-20 euro per certe str… scioccherie mi innervosiva assai. perché di scioccherie se ne pubblicano molte, troppe e questo secondo me non fa bene alla letteratura (che non sempre coincide con l’industria editoriale)
    ochei, ora la pianto

    • Condivido i tuoi nervosismi… <.< Ti dirò, ho imparato ormai verso quali Case editrici e autori confidare, però in linea di massima il resto è davvero un percorso a ostacoli. I grandi gruppi editoriali pubblicano soprattutto testi di nessuna valenza letteraria e puramente commerciali. (Anche se io continuo a trovare ottimi testi, dipende dove uno guarda…!)
      Pure io punto molto alla biblioteca e da quando ho un ereader all'ebook, con cui ammortizzo costi e rispetto anche la natura usa-e-getta di molti testi pubblicati.
      Certo, la bassa qualità che si riscontra oggi nel mercato editoriale non è, come qui alcuni suggeriscono, un via libera all'eap. Su quello la mia posizione è decisamente contraria 🙂

    • Io però trovo triste che ogni volta che si parla di editoria tradizionale e di quello che pubblica il primo pensiero vada a quella che è diventata la nuova “saggistica” (e me ne dispiace per la saggistica, genere che leggo e apprezzo molto, avendo alle spalle un periodo consistente di studi storici e ricerche per documentazioni tra le più svariate). Gli editori tradizionali non pubblicano esclusivamente biografie di Cassano, e ogni tanto è il caso di ricordarsi che oltre a Mondadori, Feltrinelli (che forse non sarà più in grado di scommettere su gente come Tomasi di Lampedusa o di andarsi a prendere Pasternak direttamente in URSS, pure per mancanza dell’URSS), Rizzoli e qualche nome legato sempre ai colossi esistono editori che gli si sono affiancati pubblicando comunque romanzi con una notevole dignità, che possono pure non piacere, per carità. Ma Adelphi dove la mettiamo? Pure Minimum Fax pubblica buona roba. Così fa Fandango. Così fa Sellerio. così fa e/o. Cito giusto le prime case editrici che arrivano in libreria e non sono legate a grandi gruppi in grado di trovare uno spazio visibile. Credo che chi parla di lettori forti da rispettare non si riferisca a quelli che vengono attratti esclusivamente dalle biografie degli sportivi o dalle barzellette di Totti, ma che pensi proprio a quei lettori che cercano altro e che ogni tanto si prendono la briga di perdere qualche ora in libreria per cercare un buon libro dalla copertina. Perché quelli vanno rispettati sul serio. E no, non è che essere lettore forte ti renda improvvisamente una persona che conosce l’editoria nel minimo dettaglio. E non ti rende onniscente sulle case editrici a pagamento in circolazione. Proprio per questo il lettore va protetto dal pesce guasto (a me l’espressione piace, la trovo perfetta)

      • Quello che cercavo – inutilmente – di dire da un po’…
        “Non so che libri leggi tu” scrivevo a chi faceva esempi: 3metri sopra il cielo, biografie porcate, commercialate varie.
        Chi parla così dei libri disponibili non so quanto sia veramente interessato alla lettura 😉

        Adelphi; alcune collane Einaudi; Minimum fax; ISBN edizioni; Sellerio; piccole case ed. conosciute ultimamente (spartaco, neo, liberaria, astoria, miraggi, 66thand2nd)… e tanti altri, pubblicano costantemente volumi bellissimi e fan letteratura. Questo è un post “dalla parte del lettore”, ma siam tutti lettori? 😉

  14. Scusami @mondocineroma, ma quella frase che mi hai citato non vuol dire niente. Dice che chi pubblica a pagamento è un ingenuo, ma non dice che nessuno deve assolutamente pubblicare. e pure tu dici che sarebbe auspicabile non pubblicare a pagamento, mi pare.
    Ma qui il discorso è incentrato sul lettore, e cioè si afferma che il lettore dovrebbe sapere che quel libro è di un eap. Tutto qui.

  15. Quale parte della frase ““Uno scrittore che pubblica a pagamento è nel migliore dei casi un ingenuo, nella maggior parte si merita il proprio destino e i soldi gettati al vento” non ti è chiara?

    • Quale parte di “è pregato di commentare solo quando avrà qualcosa da dire di pertinente” non Le è chiara?
      Le chiedo di abbandonare noi “squallidi” e ritirarsi a lidi migliori, grazie.

    • Scusami, ma in questa frase dov’è che leggi che non si deve assolutamente pubblicare a pagamento? A me pare voglia dire che chi segue questa strada è semplicemente un ingenuo e che chi lo fa si ritrova spesso in preda a un infausto destino, che però è causato dalla loro ingenua scelta.
      Ma non dice che NON DEVONO ASSOLUTAMENTE pubblicare… è una scelta, ma deve essere consapevole.

    • Gentile Mondocineroma, come le ho già scritto almeno tre volte è pregato di intervenire solo quando avrà qualcosa di inerente alla discussione da dire.
      In caso contrario, i suoi commenti continueranno a finire nello spam, dove li ho appena inseriti. E’ pregato dall’astenersi dal rivolgersi in mondo offensivo agli altri commentatori. Non ho mai censurato alcun commentatore, ma l’ultimo Suo commento – e il suo beffardo contenuto – dopo mie varie gentile richieste m’ha portata a questa decisione.
      Questo è un luogo di discussione e dibattito onesti e sereni, non voglio che divenga il Suo luogo personale per far baracca.

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  17. Il lettore “accorto”, che voglia evitare le EAP, dovrebbe consultare le liste presenti in rete. Benissimo. Almeno le più note e conclamate resteranno in mente. Tuttavia alcuni editori (talvolta noti e stimati) sono a doppio binario, per cui non si sa se quell’autore abbia o no pagato; inoltre gli estensori delle liste, sovente puristi all’estremo, classificano a pagamento anche chi chiede l’acquisto dal proprio catalogo di qualche volume o altro modestissimo contributo.
    Insomma, occorrerebbe una chiara definizione di EAP!

    • No, per me non “dovrebbe”, nel senso che se acquista in libreria dovrebbe acquistare ciò che è convinto di stare acquistando: un libro che ha superato una selezione e un lavoro.
      Comunque, hai ragionissimo. Io di certo non ho tutte le risposte e come lettore fatico già a fare scelte personali: ho acquistato libri di editore a doppio binario, ad esempio. Erano testi di gente defunta duemila anni or sono per cui era nella sezione “non eap”, però la questione rimane ambigua 🙂 Io non sono contro l’editoria a pagamento, ma quello che acquisto voglio sapere cosa è: se poi uno vuole pubblicare a pagamento e distribuire per cavoli suoi, prego, ma trovarmelo in libreria senza che sia riconoscibile è un po’ infida la cosa. Spesso non apro nemmeno i volumi che acquisto.

      Non credo che sia questione di “purismo”: se vi è uno scambio ulteriore (di denaro) invece che una scelta e l’acquisizione di un lavoro, lo scritto, per me non è editoria free.
      I soldi per me hanno un’unica direzione nel rapporto tra autore ed editore, tutto il resto si può definire come PAGAMENTO dell’editore da parte dello scrittore.

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  19. Ponevo due problemi di segno opposto.
    – Talvolta, in libreria, non è facile distinguere. Non penso sia il caso di fare nomi… Ho appreso con meraviglia da chi ha pubblicato con loro o aspirava a farlo che editori di buona reputazione sono ora a doppio binario. Avrà pagato oppure no, l’autore del romanzo/saggio esposto?
    – L’editore Pinco, piccolo ovviamente, chiede che gli propone un testo acquisti un paio di volumi del suo catalogo, oppure paghi una piccola tassa di lettura. Poi null’altro. E corretto classificarlo a pagamento?
    Evito l’ EAP sia come acquirente che in quanto autrice. Ma, appunto, alcune situazioni sono ambigue…

    • Riguardo al punto uno, il post è proprio su questo, c’è gente non informata e gente informata, ma in ogni caso il percorso per avere notizie su ogni casa editrice è molto lungo – decisamente più lungo di quanto sia un acquisto!
      Sul secondo punto secondo me va considerato a pagamento 🙂 però non ne so abbastanza di come la “classificazione” viene gestita. Il fatto è che la classificazione è fatta da persone che si sono organizzata per farlo, non vi è una scala di criteri che determini in modo preciso e poi si riveli anche in un qualcosa di riconoscibile al lettore :/
      sì, hai ragione, è molto ambiguo e caotico

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  21. Secondo me, sì. E’ il modo più efficace di abbattere il pregiudizio – a meno, ovviamente, che non si parta dal presupposto che un libro pubblicato attraverso altri canali sia di qualità intrinsecamente inferiore all’editoria tradizionale. Lo è? Tu fai il paragone con il cibo, ma le indicazioni di provenienza hanno un duplice scopo: rassicurare l’acquirente riguardo la bontà del prodotto e salvaguardare il marchio. E magari qualcuno se ne esce con un “meglio pagar di più per comprare qualcosa di marca”, mentre chi soffre, nel mercato editoriale (e quindi dalla parte dell’editore, non del lettore) è proprio chi si posiziona sullo scaffale del mercato equo. Detto questo, mi rendo conto che sono un outsider anche come lettore e spesso obietto alle facili equazioni, quindi qui la smetto. (E comunque – pensiero maligno – non so chi ci guadagnerebbe, rendendo pubbliche le clausole contrattuali dei libri editi.)

    • Ti sei perso dei passaggi però:
      1) parli di “editoria tradizionale”: presumi ne esista una non tradizionale. come avviene la distinzione nei due prodotti finiti?
      2) sbagli a dire che io non considero altre strade. Considero e apprezzo il selfpublishing, il quale non si mimetizza da “editore tradizionale” ma si pone esattamente per quel che è e anzi rivendica la propria natura.
      3) in realtà non ho fatto distinzioni di qualità, ma di natura del prodotto 😉 poi sta al lettore fare le sue considerazioni, ma il prodotto dell’eap non ha subito una selezione e tutta una serie di step obbligati e quindi è saltato direttamente sul banco del pesce senza alcun passaggio. Sta al lettore scegliere l’adrenalina del rischio 😉

      • 1) Touché. Mi hai colto a utilizzare una terminologia non mia. “Tradizionale” è il termine usato dalla lega anti-EAP contro gli editori a pagamento. La distinzione? Il prodotto EAP non sarebbe “finito”, appunto.
        2) Infatti non credo che il SP vada confuso con l’editoria contemporanea. Il mio comunque era un “si” impersonale, mi spiace se ti è parso un attacco, non era nelle intenzioni.
        3) Ma la natura del prodotto si definisce prima della parola “fine”. Dal manoscritto in poi si dovrebbe intaccarla il meno possibile – salvo più o meno benevole interazioni con l’editor. Si arriva al paradosso quando un’idea potenzialmente vendibile viene tenuta in piedi da uno sforzo di un certo spessore professionale (ed economico) nella post-produzione, passami il termine preso in prestito da altri media. Ma questo non è il caso dell’EAP. Forse è il ramo di mercato a portarci fuori strada… e se passassimo dal banco del pesce alla ristorazione? 😉

Dimmene quattro! (o quante ne vuoi)