Mama Tandoori, prescritto con ricetta

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Bombay, la città dove sono nato. Ancora oggi non capisco perché i miei due fratelli siano nati in Olanda e io invece in India, e perché mio padre si trovasse a Rotterdam mentre mia madre mi stava dando alla luce a Bombay. Posso ipotizzare che sia stato per via di una qualche offerta speciale. Le promozioni esercitano su mia madre un’attrazione incredibile, proprio come un drappo rosso fa imbestialire un toro.
Mi immagino uno scenario tipo questo: con Air India i bambini volano gratis. All’andata l’offerta prevede tre viaggiatori al prezzo di uno. E al ritorno addirittura quattro al prezzo di uno. Mio padre doveva restare a casa. E così fece, costretto o meno da mia madre.

L’ho già nominato qui, “Mama Tandoori”, nell’elenco delle mie 10 migliori letture del 2012. Ne dico qualcosa di più, oggi, prima di riporlo in libreria.

Voglio coccolarmelo ancora un po’, perché quantoquanto  mi è piaciuto questo romanzo. ISBN l’ha fatto uscire in una edizione tanto bella – tutta compatta, ordinata, con la carta un poco ruvida e una copertina attirasguardo – che già solo lo compreresti per l’aspetto. Tenerlo in mano è comfort book. Ma anche leggerlo.

Via VOGUE

“Mama Tandoori” è un’opera del giovanissimo e olandese Ernest van der Kwast, ed è un ritratto di famiglia, della famiglia van der Kwast.

Famiglia multietnica, un po’ folle, scombinata, eclettica. Piena di volti e storie e caratteri diversi. Mama Tandoori – la madre dello scrittore e la protagonista indiscussa del libro – è una donna indiana giunta in Olanda con il ricordo della miseria, un carattere incredibilmente forte, il legame alla proprie divinità, e due valigie piene di bracciali, collane, orecchini. Qui conosce Theo van der Kwast, un tranquillo studente di medicina, che le fa la corte e infine la convince a sposarlo. Nascono i figli, crescono i figli, si mescolano queste due famiglie diversissime. Passano i volti di terre lontane.

I van der Kwast, olandesi.

Caratterizzata da uomini pelati con i baffi, donne senza il senso dell’umorismo e bambini interessati al mondo degli insetti. In famiglia non c’è un solo ubriacone, un solo artista, un solo animo poetico.

Ernest racconta le proprie radici nei fianchi legnosi tipici della famiglia, nella concretezza, la mancanza di poesia.

Ci racconta dello zio sperduto, partito per l’America con due valigie piene di giornali, che ha fatto e perso fortuna, che rifugge qualsiasi legame. Ci racconta il padre, una figura sempre sullo sfondo della forza di Mama Tandoori. Eppure gentile, sempre tra le proprie ricerche, ironico, semplice. Ci racconta parenti poco divertenti e una nonna che se ne va nuda sul balcone dell’ospizio. Ci racconta questo, e poi l’altro volto, l’India.

L’India è profumo delle spezie del pollo di Mama Tandoori. E’ la forza tenace con cui lei difende la famiglia. E’ uno zio che da giovane, senza denti e coi piedi nudi, è divenuto un mito di Bollywood.

E infine è Mama Tandoori. Mamma indiana, trapiantata in Olanda. Mamma un po’ italiana, anche: impicciona, onnipresente, confusionaria, testarda, imbarazzante. Sempre alla ricerca dell’offerta, seguace fedele del “gratis è bene”. Dipendente dagli sconti tanto da riempirsi casa di scatolette di cibo per gatti, senza avere un gatto. Perché come si può resistere a un 3×2?

Leggere Mama Tandoori significa ridere, perché per prima cosa è una commedia. E immalinconirsi, perché la storia di una famiglia è il racconto anche di dolori e di diffoltà. Di una nonna lasciata sola, di un fratello ritardato che Mama Tandoori passerà tutta la vita a difendere con ogni fibra del proprio essere, di un Paese che ha vissuto guerra e miseria.

E significa anche ripensare alla propria di famiglia, a quei momenti imbarazzanti sepolti sotto il tappetto o che ci hanno fatto arrossire in infanzia – o pure dopo – fino alla punta delle orecchie. Mama Tandoori si riempie la borsa con le marmellatine dell’albergo. E in lei c’è un po’ di tutti noi.

In un’intervista, Ernest dice che Mama Tandoori è autobiografico al 95%, anche se sua madre dice che lo è al 5%. Per me è bello al 100%, e spero che Ernest ne scriverà presto un altro.

Lo consiglio, e lo regalerò.

Proprio per queste feste: che c’è di meglio di leggersi queste pagine se non proprio quando si è circondati dalla folla casinista e più o meno imbarazzante della propria famiglia?

Ho comprato il libro lunedì. L’ho iniziato subito, in alcuni punti centellinato perché non volevo arrivarci in fondo subito.
Venerdì ho scritto questa recensione. Subito dopo, mentre rimettevo a posto la mia scatola delle spezie, per qualche coincidenza mi sono ritrovata tra le mani un sacchettino. Tandoori. Me l’avevano portato i miei genitori quest’estate, dal sud della Francia. Un mix di spezie color rosso acceso. Piccante.

Ernest racconta che il pollo tandoori della madre era ineguagliabile. Nonostante non avesse il forno tandoori – un forno di terracotta col fuoco sul fondo che fa cuocere la carne rapidamente.

C’è qualcosa di esotico, variopinto, nel pensare a questa donna indiana che cucina il pollo tandoori nel freddo del Nord Europa, in un Paese in cui il clima è su variazioni dell’autunno e dell’inverno, in una famiglia tutta baffi e scienza. Immagino mio padre, per cui il “feta” è un cibo esotico, esoticissimo, e immagino la sua reticenza alle spezie amplificata. Le spezie portano colore, piccantezza. Fanno arricciare un naso non abituato, bruciano su un palato vergine.

E pensando al libro, questo weekend ho preparato il pollo tandoori. Questo weekend, perché anche se è piuttosto semplice, ci vuole almeno una notte per preparare il pollo.

Si fa così.

Si puliscono le cosce di pollo, si incide la carne con un coltello affilato fino ad arrivare alle giunture. Le si mette in un contenitore di vetro a marinare con il succo di un limone o il succo di lime.

Passano un paio d’ore. E si prepara un miscuglio: le spezie tandoori (un cucchiaio), tre spicchi d’aglio tritati, una piccola cipolla tritata, tutto nello yogurt greco. Noi siamo in quattro e ne ho usati circa 250 ml. Ci si mette il pollo e lo si lascia una notte.

E poi, il giorno dopo, a pranzo l’ho scolato dalla marinatura e messo sotto il grill del forno a 220°C per più di mezz’ora.

Il risultato potete vederlo cliccando qui.

E’ venuto molto buono, anche se sono sicura che Mama Tandoori inorridirebbe e mi inseguirebbe col suo famoso matterello. Dovrebbe venire più rosso grazie a un colorante, che io non ho…

Però a papà è piaciuto. Ebbene sì. Le due cosce rimaste le ha mangiate lui.

Ora devo convincerlo solo a leggersi il libro.

Titolo: Mama Tandoori
Autore: Ernest van der Kwast
280 PAGINE | 15,90 EURO
Edizione: ISBN
Formato: Special Books
Qui potete leggere il primo capitolo.
Tutto cominciò con due valigie. Mia madre arrivò in Olanda nel 1969 con due valigie piene di bracciali, collane e orecchini. Affittò una stanza in una casa di riposo, dove iniziò a lavorare come infermiera.
Nascose le valigie sotto il letto, secondo gli indiani il posto più adatto per custodire oggetti di valore. Una volta mia madre mi confidò: «I ladri non guardano mai sotto il letto». Mio padre mi sussurrò all’orecchio: «In India quasi nessuno ha un letto».
Per anni le valigie rimasero sotto il letto di mia madre. Finché un giorno mio padre, un uomo goffo con le orecchie a sventola, il tipico olandese, si innamorò di quella donna esotica che vedeva in mia madre. Non so esattamente come andarono i fatti, e in realtà neanche lo voglio sapere. Ad ogni modo: a un certo punto le due valigie furono trasferite in un piccolo appartamento sulla Bloemstraat e finirono sotto un letto matrimoniale. Mio padre studiava medicina, tutto il giorno immerso in una pila di libri da cui spuntavano solo le orecchie a sventola. Mia madre faceva l’infermiera e portava a casa la pagnotta, o nel suo caso il naan.
Una volta mi confidò: «Tuo padre era povero come un ratto di Delhi». Mio padre mi sussurrò all’orecchio: «Magari fossi stato un ratto di Delhi».
L’appartamento sulla Bloemstraat era rumoroso, sbilenco e puzzava più delle ascelle di mio padre. Stando alla versione di mia madre, almeno. Ormai non c’è più modo di appurarlo. Le case della Bloemstraat sono state demolite; dove una volta abitavano i miei, oggi sorge un palazzone enorme.
Il tempo è un mostro che tutto fagocita, onnivoro e insaziabile. La puzza delle ascelle di mio padre, però, non l’ha risucchiata, quella sembra indelebile. A sentire mia madre dipende dal lavoro che fa: è un anatomopatologo.
«Cos’è questo odore?» chiedeva spesso mia madre a tavola.
«Mmm…» rispondeva mio padre. «Il pollo tandoori.»
«Questa è puzza di cadavere! Il tanfo dei morti rovina il mio cibo.»
Mio padre, avvicinando il naso al piatto: «Squisito!» esclamava, «pollo tandoori».
«Sono le tue ascelle» gridava allora mia madre.
«Il tanfo dei cadaveri ti si appiccica alle ascelle! Devi tenere le braccia attaccate al busto!» Quando ripenso al passato, mi torna alla mente l’immagine di mio padre, seduto a capotavola, con le braccia premute a forza contro il busto e le posate che gli ciondolano goffamente dalle mani.
Da ragazzo non sono mai andato a trovarlo al lavoro per paura di beccarlo con le braccia affondate fino alle ascelle in un cadavere.

8 pensieri su “Mama Tandoori, prescritto con ricetta

  1. Purtroppo da noi il libro non è uscito….Invece proverò la ricetta del pollo tandoori 🙂 Sarà già una piccola consolazione…

    Alex

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