Lettera di una sconosciuta, Stefan Zweig. Quando l’amore non è amore.

In realtà è la prima volta che leggo Stefan Zweig in italiano, il che significa due cose:
1) che è tanti anni che non prendo qualcosa di suo in mano, dal momento che l’ultima volta che ho letto della letteratura in tedesco, ehm,  stavo preparando i racconti di Kafka per l’esame di maturità… (a meno che non consideriamo i Rammstein. E immagino che non li consideriamo).
2) che lo conosco come un 3×2, al massimo. Ossia “leggo 3 parole e ne capisco 2”.

Poi emme mi chiede che ne penso di Lettera di una sconosciuta, perché, mi dice, con tutta la misteriosa cripticità di un twitter di 140 caratteri, l’ha trovato “molto bello, ma mah”.

Lettera di una sconosciuta è un racconto, una mezz’ora di lettura, del 1922. Due pagine – l’inizio e la fine – di narrazione e una lunga lettera che costituisce l’intero corpo della storia. E’ la lettera di una donna a cui è appena morto il figlio, scritta a un uomo che, inconsapevole, ha condizionato per tantissimi anni la sua vita.

Questa donna gli racconta come si sono conosciuti, anche se lui non la ricorda, anche se per lui non è stato importante; gli racconta quando si sono rivisti, le notti di incontro casuale che hanno condiviso; le diverse forme e quasi identità con cui lei gli si è presentata, nel corso degli anni: tre volte, e ogni volta per lui è stata la prima; gli racconta i propri silenzi, la propria ossessione, i segreti, il dolore.

Una donna che a tredici anni si innamora di un uomo senza averlo ancora visto e che costruisce la propria vita intorno a quest’unica ossessione. Senza che lui mai se ne accorga: il suo volto e la sua presenza vengono fatti scivolare con leggerezza tra i mille incontri di una vita festaiola.

M’è piaciuto? Mah.
La lettera in sé è lirica e un po’ carica, spesso ripetitiva. Ha degli strascichi tipici di un sentimentalismo romantico che mi impasta la lingua e che non mi stimola particolarmente.

Però ha anche elementi che mi ricordano un tipo di letteratura – tedesca ma non solo – che a inizio Novecento esplorava quasi meravigliata le scoperte sulla mente umana. Sono gli anni di Freud, in particolare. Quelli di Arthur Schniztler. Dell’Ulisse di Joyce. Quelli in cui raccontare la storia può anche essere un modo per esplorare in modo metaforico gli estremismi della psiche.

E per me questo è Lettera di una sconosciuta: un modo per rendere racconto l’effetto autodistruttivo di un amore ossessivo. E’ anzi questa la prima volta che qui scrivo “amore” per riferirmi a questo testo, quando invece la parola “amore” è tante volte ripetuta al suo interno. L’ho associata a un elemento negativo, perché in questo testo di positivo in tal senso non vi è niente.

Anzi, mentre cercavo qualche informazione sul racconto – c’è pochissimo – mi sono molto stupita nell’osservare pareri, descrizioni, recensioni di Lettera di una sconosciuta. Si parla di amore puro, segreto; di romanticismo. In generale di qualcosa di malinconico, ma tutto sommato accettabile, femminile. La grazia del mal d’amore. Mah!

Mi sono stupita, e molto. E forse la mia interpretazione è campata per aria, non condivisibile e in realtà non ho capito un accidenti. Probabile. Ditemelo, nel qual caso. Perché per me Lettera di una sconosciuta parla degli effetti distruttivi di un’ossessione e non parla affatto d’amore. Parla di un io concentrato totalmente su di sé, sofferente, estraneo alla realtà allo stesso modo in cui la causa della sua distruttiva abnegazione è estraneo e indifferente a lei. Parla di patologia, morte, cose brutte e inquietanti. Di stalking e ossessione.

E se non mi ha particolarmente coinvolta o appassionata, mi ha però intrigata perché parla di tutte queste cose e lo fa nel 1922, nel pieno dello stupore per la mente umana. Più di settanta anni prima di un narratore che dalle stesse premesse trae un intero romanzo. Peter McGrath con Follia.

(potete trovare Lettera di una sconosciuta nella Piccola biblioteca Adelphi o pubblicato con un paio d’altri racconti con la Newton Compton. Di entrambe le edizioni esiste la versione ebook)

9 pensieri su “Lettera di una sconosciuta, Stefan Zweig. Quando l’amore non è amore.

  1. L’ho letto qualche anno fa, condivido con te l’idea che sia più la narrazione di un’ossessione malsana che di un amore, ma ne ho ugualmente un ricordo positivo e vorrei rileggerlo perché alcune pagine, frasi e descrizioni di emozioni mi hanno molto toccato. So che ne hanno tratto un film…. Ma sarà degli inizi della storia del cinema… Non ho avuto il coraggio di vederlo…

    • Sì, è degli anni ’40. (e qualcosa anche successivamente).. nemmeno io infine mi sono decisa a vederlo… ho provato a cercarlo ma ho tanti di quei film da vedere che questo scivolerebbe in fondo alla lista…
      A me è piaciuto proprio perché tratta di emozioni non banali, anche se non positive.

    • Concordo con Eos Eos: anch’io l’ho letto qualche anno fa e ricordo ancora – seppur annebbiati dal tempo – diversi passaggi che toccano nei punti giusti l’animo del lettore. O almeno così hanno fatto con il mio 😉

      Ah, al prossimo giro però si potrebbero anche considerare i Rammstein, poverini…

    • Il libro a me è piaciuto molto e sono d’accordo con le vostre osservazioni, il film se potete vedetelo visto che è stato girato da uno dei più grandi autori della storia del cinema!!! Max Ophuls!

  2. Giungo con estremo ritardo a commentare.
    In realtà non so bene che cosa dirti, visto che sono d’accordo con te al 100%. Ero pure abbastanza sicura che tu la pensassi come me, quando ti ho chiesto di recensire, perché in realtà ho poteri paranormali e ti leggo nella mente. U_U
    A parte gli scherzi, sinceramente non ho cercato recensioni su questo libro e se lo avessi fatto non mi sarei mai aspettata che qualcuno potesse considerarla una storia “romantica”.
    L’unica cosa a cui sono riuscita a pensare mentre leggevo era “malato” e “inquietante”…
    Lo stesso personaggio maschile non ha una vera personalità, sembra essere semplicemente scelto a caso dalla ragazza, una persona qualunque sulla quale gettare le proprie frustrazioni e la propria paura di vivere. È un manichino usato per nascondere un disagio profondo.
    Interessante come tu abbia notato che un libro del genere – con le tematiche delicate che porta con sé – sia stato scritto in un periodo in cui di certo nessuno sembrava interessarsi.
    E nulla, sono felice che tu abbia risposto al mio appello! XD
    Un bacino!

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